Chi sono le stelle cadenti: da Terry Giacomello a Nikita Sergeev
- Alessandra Meldolesi
- 16 gen
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 16 gen
Si moltiplicano gli annunci di chiusura per i ristoranti stellati italiani: dopo il clamoroso addio di Nikita Sergeev, l’ultimo caso è quello di Terry Giacomello, grande talento che sembra non trovare pace. È crisi del fine dining?

Il gossip circolava da un po’: l’avventura di Terry Giacomello volgeva al termine sulle idilliache rive del lago di Garda.
Pochi giorni fa ne è giunta conferma definitiva dall’account Instagram del ristorante Nin: “Il 2025 prende il via con un annuncio importante: si conclude la nostra collaborazione con lo chef Terry Giacomello. Sono state stagioni ricche di emozioni e di riconoscimenti, ma con consapevolezza e in estrema armonia, abbiamo preso la decisione di percorrere separatamente i nostri cammini professionali e imprenditoriali.
Un ringraziamento speciale a Terry e alla sua brigata per la bella avventura vissuta insieme e per aver dato l’avvio a un progetto che non si fermerà, ma che cambierà solo veste”.
È lecito quindi aspettarsi, come lasciano intendere i post successivi, che il ristorante proseguirà sulla strada dell’alta cucina, ma in una chiave nuova. Come del resto era già accaduto a Inkiostro, virato nel post Giacomello verso le eleganti contaminazioni di Salvatore Morello.
Dispiace constatare ancora una volta, dopo le parabole tormentate di fuoriclasse quali Paolo Lopriore e Luigi Taglienti, come il talento non sempre paghi, specie quando lo chef fatica a scendere a compromessi e pratica una cucina schiettamente d’avanguardia, che sarebbe meglio recepita in un contesto metropolitano.
Ma secondo un articolo apparso su Dissapore a firma di Chiara Cavalleris il 4 gennaio, altre toques illustri sarebbero prossime a cadere, o forse a calcare altre fronti e altre scene: se durante le feste ha preso congedo da Marcello Trentini lo storico sous-chef del Magorabin Enzo Barillà, si vocifera addirittura che Matteo Baronetto potrebbe presto lasciare Del Cambio, ristorante dallo chef’s table leggendario, tuttavia un po’ ingessato nelle atmosfere e nei repertori sabaudi, il cui pubblico ordina a raffica vitel tonné e finanziera.

Nomi che potrebbero aggiungersi a una lista già corposa. Se ha fatto scalpore a inizio dicembre la chiusura dell’Arcade di Nikita Sergeev, giovane chef stellato russo, che aveva parlato di perdita degli stimoli, ma si dice fosse finanziariamente sofferente dopo l’ambizioso trasloco sul lungomare, a novembre la presentazione della guida Michelin ha rappresentato l’occasione per un censimento impietoso.
Ha chiuso ViVa di Viviana Varese, che si è trasferita al Passalacqua sul Lago di Como, ma anche Bianca di Emanuele Petrosino, giovane chef fra i più brillanti d’Italia, passato al Grand Hotel Vesuvio di Napoli.
E ancora Vitium di Michele Minchillo a Crema, il Cannavacciuolo Cafè e Bistrot di Novara (il cui chef è approdato al Tancredi di Sirmione, dove ha conquistato la stella), Spazio 7 di Antonio Romano a Torino, la Locanda Tamerici dello chef Mauro Ricciardi ad Ameglia e Orto by Jorg Giubbani a Moneglia, Senso di Alfio Ghezzi al Mart di Rovereto, il Parco di Villa Grey a Forte dei Marmi (il cui ex chef ha preso la guida della casa di Enrico Bartolini a Noceto), il Faro di Capo d’Orso con la consulenza di Andrea Aprea e Dal Corsaro della famiglia Deidda a Cagliari (ma “per ristrutturazione aziendale”).
Se lo chef Lorenzo Iozzia, annunciando la chiusura di Casa Iozzia a Vitorchiano, ha lamentato la mancanza dei margini economici per la ristorazione di qualità, è peraltro vero che il pallottoliere Michelin è rimasto sostanzialmente stabile grazie a numerosi nuovi ingressi.
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